20 Nov Balkans trip & the blog is back – Parte 1
Dopo anni di inattività e blocco della scrittura, sto cercando di dare nuova vita al sito (e al blog) facendo dei resoconti delle nostre avventure.
Questo viaggio non è iniziato nel migliore dei modi. Io e Ste (@stefano_zingaro) il giorno prima eravamo a Roma per un lavoro, avremmo dovuto prendere il treno delle 6.30, arrivare a Brescia per le 11 circa, recuperare il furgone e partire per l’avventura.
Ovviamente Trenitalia non era dalla nostra parte. Tra ritardi e coincidenze perse, siamo arrivati a casa soltanto attorno alle 13.30. Corsa a Linate per recuperare il minivan a noleggio e alle 16 eravamo finalmente pronti a partire.
All’altezza di Vicenza alcuni di noi si erano già addormentati.
La crew era composta da Alby (@alberto_seghezzi), Ste, Davi (@davide_francesconi), Giammy (@gianmarcoventuri), Alessio (@stefanialessio) e Miky (@sbiestravel).
All’altezza di Vicenza Alby aveva già fatto esplodere il primo tubo di coriandoli della vacanza, riempiendo il Citroen Jumpybus di cuoricini rosso metallizzato. Un minivan con 6 ragazzi. Pieno di cuoricini rossi. Non penso serva aggiungere altro.
Ci fermiamo in autogrill, da qualche parte sull’autostrada che ci stava portando verso Trieste. Aperto le porte del Jumpy scendiamo noi e circa 300 coriandoli a forma di cuore, attirando l’attenzione di mezzo parcheggio.
Il viaggio prosegue tra scherzi, battute e dormite, con uno smagliante Michele autista che non mollava un colpo.
Passiamo Trieste, entriamo in Slovenia e superiamo quasi senza problemi anche il confine Croato, nonostante le insiuazioni e richieste di bustarelle da parte di una avvenente bionda poliziotta, che pensava fossimo una banda di pusher carichi di roba. “If you give me something, only small penality” le sue parole prima di minacciare una perquisizione completa del Jumpy. Dopo averci lasciato del tempo da soli per pensare se volevamo darle qualcosa o farci perquisire, si è avvicinata al finestrino dicendoci che eravamo liberi di proseguire non prima di aver tirato un occhiataccia a ste piegato su se stesso a soffiarsi il naso, chiedendogli “is everything ok?”.
Mi sarebbe piaciuto scattarle una foto per immortalare la sua espressione quando ha visto tutti quei coriandoli a forma di cuore dentro al minivan.
Siamo arrivati all’appartamento verso le 23. Una gentile e ignara anziana ci stava aspettando. Nel frattempo Alby aveva sparato il secondo tubo di coriandoli. Nell’evacquare il bus abbiamo riempito il vialetto della signora con una vagonata di coriandoli oro e cuoricini rossi.
Buttate le nostre cose in camera ho proposto di andare a fare un sopralluogo all’aereo abbandonato di cui avevo letto informazioni su alcuni blog di urban exploration. “Staremo via al massimo un oretta, poi torniamo e dormiamo”. Saremo successivamente rientrati verso le 2.30.
Abbiamo guidato per qualche decina di chilometri nella notte, su strade asfaltate e meno. C’era chi vedeva animali notturni e cervi, ma sono convinto che fossero solo delle allucinazioni dovute alla mancanza di sonno.
Finalmente imbocchiamo una stradina tra la vegetazione ed eccolo: il Douglas C-47 in tutta la sua gloria. O quasi.
Quando troviamo posti così siamo sempre eccitati come bambini in un negozio di caramelle.
L’aereo era parzialmente nascosto dalla vegetazione, ma faceva abbastanza fresco, era notte e non avevamo voglia di fare i giardinieri. Abbiamo iniziato ad esplorare l’aereo, salendo all’interno tramite il portellone posteriore. Era messo abbastanza male. molte parti erano state rimosse, probabilmente rubate. Nella cabina erano rimaste giusto due leve e poco altro. Dei sedili c’era solo la struttura in ferro.
Scaricati i treppiedi, camere e drone con i fari montati abbiamo iniziato a fare i primi scatti. Il primo soggetto della serata è stato Alby con la sua svavillante, appena comprata per l’occasione, giacca rossa North Face. Penso che quelli fatti a lui siano stati gli scatti che ho preferito. La luna era ancora nascosta dalle nuvole, e il cielo in generale aveva una texture migliore.
Il drone iniziava ad avere le batterie scariche, così come tutti noi. Verso le 2 abbiamo impacchettato tutto e ci siamo rimessi sul furgone. Alcune degli scatti fatti ad Alessio e Davide non mi dispiacevano troppo, ma la luna era decisamente troppo invadente nella composizione.
Nel rientrare in appartamento siamo stati fermati per un controllo da parte della polizia di frontiera. Quasi 30 minuti di controlli e domande. Da dove siamo arrivati, cosa stavamo facendo in giro a quell’ora, per non parlare delle occhiate scrupolose nei confronti di chi aveva la fotografia sul documento che non corrispondeva per via della barba. Non eravamo sicuri che l’aereo fosse in una zona accessibile, così quando ci hano chiesto cosa stessimo facendo con le fotocamere abbiamo risposto “we were taking pictures of the stars”. Per un attimo il tempo si era fermato, speravo che non ci chiedessero di mostrargli le foto scattate. Ci hanno scrutato illuminandoci con le loro torcie per poi finire con “pictures of the stars ah?! ok you can go”. Alle 3.45 eravamo già tutti nel letto.
Il primo vero giorno di “gita” è iniziato con una nebbia abbastanza fitta che circondava la casa di campagna dove avevamo il nostro campo base.
In programma c’era la gita ai laghi di Plitvice. Il meteo diceva che avrebbe iniziato a piovere soltanto verso le 13.
Ci mettiamo in macchina verso le 9.30 circa e dopo un’altro controllo da parte della polizia croata, raggiungiamo gli splendidi Laghi di Plitvice in uno scenario da cartolina con dei magnifici colori autunnali. E invece no. Il grigiume e la nebbia regnavano sovrani. Decidiamo di iniziare direttamente dalla parte finale, dove ci sono le cascate più belle stando a quello che scrivono nelle guide. Giusto 20 minuti di passeggiata e un paio di scatti quando inizia il diluvio. Penso di non aver mai preso tanta acqua in tutta la mia vita. Abbiamo messo via di corsa l’attrezzatura negli zaini (anche se ero convinto che la mia Nikon D500 potesse sopravvivere senza tanti problemi), coperti con i teli antipioggia e iniziato a correre verso l’uscita, dove delle navette ci avrebbero riportato all’ingresso principale. Circa 40 minuti di camminata svelta sotto una pioggia incessante. Almeno credo che fossero 40 minuti, avevo perso la cognizione del tempo. Zuppi e sconsolati siamo ritornati al nostro Jumpy bus.
Queste sono praticamente le uniche due foto uscite dalla reflex quella mattina.
Una pasta alla carbonara cucinata dagli chef Michi e Davide ci ha riscaldato nel pomeriggio. Mentre i vestiti si asciugavano sui caloriferi spinti ad una temperatura inimmaginabile, mi sono messo a dare un occhiata alle foto della notte prima. Nel frattempo il resto della cricca aveva dato inizio ad un gioco alcolico basato sui multipli di 5 e 7, proposto da Michele, che non finì benissimo per lo stomaco di alcuni di loro (Ste, perchè lui… non molla).
La mattina dopo dovevamo lasciare l’appartamento. Saremmo tornati all’aereo e avremmo però esplorato anche una base abbandonata al confine.
Dopo aver fatto una pulizia sommaria dell’appartamento, giusto per togliere i coriandoli che ci si erano incollati addosso e ci eravamo portati in casa, salutiamo la cara proprietaria dell’appartamento e carichi torniamo al nostro fantastico aereo.
Dato che avevamo più tempo abbiamo iniziato un opera di disboscamento, rendendo finalmente visibile il motore sinistro al quale mancavano però in ogni caso due eliche.
La fusoliera era ricoperta di adesivi: marche di auto, band, simboli politici… c’era un pò di tutto incollato li sopra. Esplorando meglio la zona abbiamo notato che l’aereo poggiava su dei piedistalli in cemento, quindi con tutta probabilità non era stato abbandonato li ma anzi, poteva trattarsi di un monumento all’entrata della zona militare.
Un anziano pastore stava pascolando le sue pecore li attorno e con un inglese abbastanza elementare ci ha spiegato di non andare oltre 4 km in una certa direzione altrimenti “bang bang”. Da quella parte c’era il confine e molto probabilmente non era il caso attraversarlo in quell’area. La crisi dei migranti in Croazia, Bosnia e limitrofi a quanto pare è un argomento molto caldo.
Ricominciamo una sessione di scatti al nostro soggetto preferito di quei giorni: l’aereo. Io ho iniziato ad esplorarlo di nuovo con la luce del giorno insieme ad Alessio. Nikon D500 su una spalla e F100 con Ilford 400 nell’altra. Abbiamo scattato qualche ritratto nella cabina sfruttando la giacca mimetica americana di Ale, per poi spostarci sull’ala e sopra la fusoliera. Mi sarebbe piaciuto usare il flash per questi ritratti, ma non volevo complicare le cose.
La luce stava diventando più dura e le nuvole si stavano aprendo. Era il momento giusto per far volare il drone. I droni.
Per 15 minuti buoni nel cielo sopra l’aereo stavano volando un Inspire 1, due Mavic Pro e un Mavic Air. Ero quasi sicuro che ci saremmo schiantati l’uno con l’altro e invece siamo scesi a terra sani e salvi.
Nel frattempo l’ennesima pattuglia della polizia era arrivata sul posto, per un controllo dei passaporti.
La pellicola mi ha dato delle grandi soddisfazioni quel giorno. Ho scattato con la Nikon F100 combinata a volte con il 50mm 1.8 e a volte con il Sigma Art 18-35 che è un otticha per formato ridotto ma a 35mm è in ogni caso utilizzabile su full frame.
Qui sotto vi metto alcuni degli scatti sviluppati dalla Ilford di quella mattina. Ne parlerò meglio in un altro post, ma sono sempre più innamorato della resa analogica dei ritratti. Sembra quasi che prendano vita.
Prima di andarcene definitivamente dall’aereo, Giammy si è arrampicato sopra la fusoliera con il suo skate e ha iniziato a piazzare dei trick sull’aereo. Non potevo rinunciare al flash in quella situazione. La fotografia sportiva è stato uno dei miei primi “amori”. Mi divertivo tantissimo ad andare ad eventi di skate, mountainboard, downhill o bmx e il flash era un elemento costante dei miei scatti sportivi.
Preparato il flash Godox, con l’aiuto dei ragazzi ho scattato qualche foto a Giammy mentre saltava grabbando la tavola, mentre il buon Alby gli girava qualche video testando il suo nuovissimo Ronin-S.
Era all’incirca mezzogiorno, siamo scesi dall’aereo e ci siamo messi in macchina direzione base militare abbandonata.
La strada superava alcune case isolate, probabilmente di pastori e contadini, che al nostro passaggio ci scrutavano dalla finestra scostando le tende. Nel frattempo ai lati della strada iniziavano a comparire i cartelli di pericolo che avvisavano che la zona era ancora minata.
Dopo qualche km arriviamo finalmente alla pista di atterraggio. La base infatti era una delle più grandi di quell zona e includeva un aeroporto sotterraneo e due piste di decollo. Parcheggiamo e iniziamo l’esplorazione
Io Ste e Davi entriamo dal portone più ad Ovest. Una bocca di circa 20 metri di larghezza e almeno 10 in altezza ed entrava direttamente nella montagna. Superiamo il terrapieno che sbarrava l’ingresso, accendiamo la barra led e iniziamo ad addentrarci. Il tunnel è larghissimo, enormi blocchi di cemento penzolano con la loro armatura dal soffitto. Un odore di polvere, chiuso e materiale chimico riempie le nostre narici. Se ricordo bene, da quanto avevo letto, la base era stata assaltata e quelli potevano essere i segni della battaglia. Iniziamo ad esplorare i primi metri dei 3,5 km di tunnel sotto la montagna. Più ci addentriamo più la struttura presenta segni di distruzione.
Decidiamo di tornare all’ingresso e aspettare gli altri, prima di proseguire con l’esplorazione di un’altra parte di base, questa volta entrando dal portone più ad est.”
Dopo un paio di svolte nel tunnel ci troviamo di fronte ad un pesantissimo e armatissimo portale con la sagoma di un aereo. Infatti la peculiarità di questa base era quella che i jet militari venivano portati all’interno della base, in modo da tenere la base più segreta possibile e al sicuro da possibili attacchi.
Continuiamo ad esplorare ancora per una ventina di minuti, completamente avvolti dall’oscurità e dall’odore di polvere. Stando in silenzio si poteva sentire l’acqua gocciolare da qualche parte per poi fare eco negli immensi tunnel della base.
Poco prima di tornare indietro abbiamo trovato un piccolo altarino dedicato ad un ragazzo, magari morto all’internod della base, anche lui videomaker.
Tornando verso l’uscita, gli occhi hanno iniziato a riabituarsi alla luce del sole.
“La base di Zeljava rappresentò la sede della 117 Fighting Aviation Regiment, costituita da due squadroni di aerei da combattimento MiG-21 e uno da ricognizione, per un totale di circa 80-120 velivoli. Fu costruita per poterci ospitare al suo interno ben 1000 soldati, 200 piloti e oltre 500 meccanici con riserve di cibo, corrente elettrica fornita da generatori, carburante e una propria fonte d’acqua per un fabbisogno di circa 30 giorni senza alcun tipo di rifornimento esterno.”
Una volta tornati al Jumpybus, Alby ha proposto di fare alcuni scatti ad Alessio e Giammy in skate lungo la pista di atterraggio, seguendoli dal minivan; ad un certo punto si sarebbero attaccati, fatti trainare e poi si sarebbero lasciati sfruttando la velocità per sfrecciare lungo la pista. La cosa non prometteva bene. Il primo take è finito con Alby che ha sparato il penultimo tubo di coriandoli direttamente in faccia ad un sorpreso Giammy.
La seconda session è andata liscia, la velocità non era troppo alta.
Bang, headshot!
E poi. Il disastro.
Una volta toccati i 30km/h Giammy si era già staccato dal furgone, mentre Ale teneva duro. Io e Ste avevamo il portellone aperto per scattare qualche fotografia, il flash montato su un monopiede usciva a sbalzo per illuminare al meglio Alessio. 35 km/h. Ho abbassato la camera più vicina possibile all’asfalto della pista, aggrappandomi con l’altra mano alla cintura che avevo messo come sicurezza per non volare fuori dal furgone. 40 km/h. Lo skate inizia ad impazzire sotto i piedi di Ale e decolla, lasciando lo stuntman aggrappato alla maniglia del portellone con i piedi che strusciavano sull’asfalto.
Miky ha prontamente frenato allarmato dalle nostra urla, ma nel fermare il Jumpybus il portellone scorre, picchiando prima contro al monopiede che reggeva il flash e poi contro al mio ginocchio.
Rumore di vetri rotti. Prima di buttarmi indietro dentro al van ricordo di aver visto Alessio rotolare sull’asfalto.
Polso rotto? Caviglia slogata? Siamo scesi di corsa convinti di dover prestare del primo soccorso e già ci stavamo chiedendo che ospedali avremmo trovato in quella zona dei Balcani. Bestemmiando con accento fiorentino Alessio si era rialzato senza troppi problemi, un pochettino zoppicante e senza una scarpa. La maggior parte delle imprecazioni erano per le scarpe e la giacca rovinati. L’unico ricordo di quella follia sulla sua pelle era una bruciatura sul culo.
La cosa bella di tutto questo è che Davide stava filmando tutto con il suo Mavic.
Ci siamo fatti due risate, raccolto i cocci del flash di Ste che era esploso per l’impatto (il rumore di vetri rotti) e rimettiamo in sede il portellone laterale che nell’urto era uscito dalle guide.
Era ora di partire per la Slovenia, saremmo arrivati a Bled in serata.
Continua nella parte 2
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